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APRE LA GALLERIA VIRTUALE

05-12-2020 07:55

Daniele Rocchetto

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APRE LA GALLERIA VIRTUALE

ESPERIMENTA EXPERIMENTA SPERIMENTA

ESPERIMENTA EXPERIMENTA SPERIMENTA

Sarà il modo, ormai normale, di presentare le opere di artisti emergenti o affermati che sperimentano forme e contenuti per un innovativo linguaggio artistico

 

Inaugurare uno spazio espositivo virtuale con le opere di Daniele Rocchetto è sintomatico di un diverso procedimento estetico. Non più le pareti di una sala o l’ambito d’una istallazione dove lo scambio tra lo spirito dell’autore e il suo pubblico si manifesta con la presenza fisica, in un tempo preciso, quanto piuttosto si protende all’evolversi della dimensione spaziale e temporale definita dalla qualità e dalla natura del mezzo di diffusione. Cambio d’approccio, cambio di sospensione immaginifica, cambio di riappropriazione dell’armonia sensoriale.
Non è un caso che l’artista abbia scelto come vettore prioritario la “fotografia”, nel realismo del bianco e nero, quale rituale narrativo per continuare a dipingere e interpretare.
L’immagine statica rappresenta l’unione tra teatro, pittura e foto come in una sorta di scrittura grafica che esprime la gradualità della progressiva maturazione di un operatore estetico che sa quello e come vuole esporre e che ha fatto degli strumenti le sue protesi comunicative.
Le due narrazioni qui presentate STULTIFERA NAVIS, 
La follia del vivere e DUALITÀ, IL DOPPIO STATO DELL’ESSERE saranno seguite da una terza parte, in lavorazione, che concluderanno la trilogia.

 

STULTIFERA NAVIS
ovvero LA FOLLIA DEL VIVERE
durata 8’ 14’’

Nel progetto vi è un filo conduttore formato da citazioni scritte, tratte da Frida Khalo (non racchiudere la sofferenza, poiché riaffiora sempre), da Mario Tobino (come una trave di legno appare intera, ma e piena di tarli: dentro), sulla pazzia da Anacleto Verrecchia (la follia ha cento maschere compresa quella della normalità), Osamu Tezuka (non giudicare la follia nell’altro) ed infine da Franco Basaglia (accettare tanto la ragione quanto la follia). Tali intermezzi sono pause tra le diverse messe in scena che hanno compito evocativo e lontani da speculazioni di autorevolezza servono a rinforzare l’impatto elittico (inteso come concetto espressivo) del vivere umano.
Il susseguirsi degli “atti” scenici presentano una costante ridondanza esecutiva quanto le sfaccettature di esasperante reiterazione. I corpi che appaiono sono nudi poiché la nuda verità amplifica le percezioni. Il taglio di luci nelle riprese in B/N illustrano pesantemente le tante sfumature di ombre nel passaggio da una stato all’altro. Quindi è un susseguirsi di corporature protese, schiacciate a terra o sedute in posizioni innaturali alla maniera di traduzioni geometriche.
La proiezione di masse incorporee, discinte, forse sporche, distrutte nella cocente disperazione e situate in location miserrime, insistono sul paradigma della sofferenza vissuta nella solitudine.
Quella che irrita, infastidisce, replica sentimenti che tutti noi conosciamo e di cui non sopportiamo giustificazioni, poiché si identificano con le figure della classicità immaginaria. Infatti, il martirio attraverso la impotente commozione non suscita più alcuna commiserazione, ma provoca rabbia,
tanta.
Le pose, ad esempio, della donna con la bambola immobile, inanimata, svuotata di qualsiasi tensione emotiva, esasperando l’uso del paradosso semantico, anche della musica, diviene lo specchio di doppia, tripla, multipla personalità. Così come dal trasparire degli occhi tra un impedimento quale è lo spionare clandestino, indica una maniera di sopravvivere: altra!
Gli atti di autolesionismo, l’atteggiamento di urli silenziosi e soprattutto lo sforzo di bruciare con la fiamma di una candela il filo sottile teso tra le mani, rimandano al tentativo di spezzare un destino irreversibilmente segnato, riportano all’ineffabilità del proprio ritmo sonoro esistenziale. Qualunque esso sia. Tutti siamo naviganti di una nave portatrice di stoltezza.

 

 

DUALITÀ IL DOPPIO STATO DELL’ESSERE
durata 6‘14’’
Generalmente la critica di un’opera d’arte serve per esplicitare sia sul piano dei contenuti che su quello della forma, i moti sensoriali che la stessa esprime nello spettatore e comincia là dove il lavoro dell’autore termina.
Per questo progetto le parole rischiano di divenire un inutile soprappeso e possono servire tuttalpiù ad illustrane il percorso senza delinearne gli esiti non scontati di una ricerca assolutamente inedità.
Le fasi esecutive sono interrotte da sentenziosi titoletti dalla dicotomia significante o dualità contrapposta che sottolineano le intenzioni concrete dell’artista di attenersi alla retorica linguistica,
ma che in realtà scappa da formalismi stereotipati attraverso imprevedibili espressioni.
In questo caso la riproducibilità del soggetto, cioè l’attore di azioni multiple, sintagmatiche ciascuna per conto suo, ma riunite a comporre la medesima identità, gioca a formare un gruppo scultoreo d’impalpabile leggerezza. Si può immaginare una ripresa coroplastica (intesa come l’arte e la tecnica del modellare la terracotta per la produzione di un bassorilievo o di oggetti a tutto tondo, ottenuti come plasmando un blocco di argilla attraverso l’unione di più metà). In questo caso il riferimento al classicismo monumentale è immediato. La costruzione della scena è fuori tempo e dallo spazio figurato, per immedesimarsi in riflessi o sdoppiamenti così che l’essenza del sé stesso uscendo dal proprio corpo si osserva esalare.
Oppure espandersi: ecco!
Il pensiero e il gesto si dilatano assumendo una dinamicità incontrollabile.
Forse destinata a moltiplicarsi.
Le esaltanti pose sono state interpretate dagli attori: Marino, Eva, Debora, Valentina e Luigi.

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BIOGRAFIA

 

Daniele Rocchetto nasce nel 1965 a Solesino e vi dimora.

 

Esperienze artistiche

 

Pittura

Fin da giovane si interessa alla pittura, entrando a far parte tra il 1987 ed il 1994 del gruppo pittori “Tre Scalini del Piovego” di Padova. Ha partecipato a numerose mostre collettive e concorsi.

 

Musica

Tra il ‘98 e il 2001 studia il sax tenore. Sucessivamente entra a far parte del Coro Lirico rodigino “Le voci della musica”, diretto dal Maestro Daniele Marabese.

 

Fotografia

Da una decina d’anni si interessa alla fotografia, come esigenza nel continuare a dipingere e

raccontare. Negli ultimi tempi si é appassionato al realismo del bianco e nero.

 

Fa parte del Fotoclub Este, con il quale ha esposto in mostre collettive. Propone regie fotografiche, come LA VALIGIA DEI SOGNI, realizzata per il Fotoclub Este nel maggio 2018 presso Villa Contarini-Giovannelli di Vò Vecchio. Nell’ottobre 2018, in occasione della giornata mondiale sulla sanità mentale, espone il progetto STULTIFERA NAVIS* presso la sala della Pescheria Vecchia di Este. Attualmente ha terminato l’ultimo progetto, DUALITÀ, IL DOPPIO STATO DELL’ESSERE*. Il suo modo di costruire l’immagine è unione di teatro, pittura e fotografia.

(Lavori che sono pubblicati nella sezione Experimenta, ndr.)

 

Teatro

Dal 1993 lavora come attore, scenografo e regista presso la compagnia “LA GIOIOSA” di Solesino.

Attualmente segue la regia de La cena dei cretini di Weber, in cui é anche attore.

 

Nel 1998 -1999 ha seguito un corso di formazione teatrale con Emanuele Pasqualini e Giorgia

Penzo , dei Pantakin Da Venezia.

 

Ha esordito nel Don Checco di Rovinelli, poi con Duse in Carte in tola, La cena dei cretini di

Weber. Seguono poi Twist di Exton.

 

Nel 2010 ha seguito un corso di dizione con Marino Bellini del TPO.

Nello stesso anno ha frequentato uno stage con il regista Ferdinando De Laurentis del TPO.

Nel 2012 ha frequentato ancora uno stage, che come il precedente curava lettura espressiva e voce, diretto sempre da Ferdinando De Laurentis.

Poi, con la regia di Simone Toffanin in Rumors di Simon .

Dal 2013 collabora con Toffanin in Cast.

Nel 2016, sempre con il regista Ferdinando De Laurentis, ha partecipato al film La madre distratta.

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